fbpx

Genova capitale italiana dell’impegno sociale e della cittadinanza attiva. La nostra città sarà sede della prima edizione della Biennale della Prossimità, un evento che coinvolgerà tante associazioni di volontari provenienti da tutta Italia. «Ci sono molte realtà del terzo settore che svolgono un ruolo di supplenza dello Stato per quanto riguarda i diritti dei cittadini e i bisogni dei quartieri», raccontano gli organizzatori.

Sempre di più nella società contemporanea avvertiamo problematiche e disagi a livello sociale, talvolta impensabili fino a qualche decennio fa: dal problema del diritto (spesso negato) alla casa, al diritto al lavoro, alla tutela dei consumatori. Si tratta di tematiche che siamo spesso impreparati ad affrontare, in una società che tende all’individualismo e all’esclusione, con un’amministrazione pubblica occupata a risolvere ben altri problemi. In questo contesto, forse molti di noi non si sono accorti che, per dare un risposta a questi bisogni, da tempo sono sorte associazioni locali no-profit e interessate al sociale, che lavorano in sordina e arrivano laddove chi ci amministra non riesce ad arrivare.

Per rendere noto il lavoro di questi volontari, in autunno a Genova si svolgerà la prima edizione dell’evento nazionale “Biennale della Prossimità”. Si tratta di una manifestazione di 3 giorni, dal 10 al 12 ottobre, in cui per le vie del centro storico si altereranno incontri e convegni, e soprattutto tanti giochi, momenti ludici e di divertimento organizzati dalle oltre 70 associazioni partecipanti, provenienti da tutta Italia.

L’iniziativa è stata promossa dalla Rete Nazionale per la Prossimità, un network di organizzazioni nato nel 2013 per la promozione della cittadinanza attiva, e di cui fanno parte il Consorzio Nazionale Idee In Rete, ISNet – Spesa Utile, Fondazione Ebbene, Social Club Torino, Social Club Genova, Consorzio Emmanuel – Emporio solidale Lecce.

Ma cos’è nello specifico questo evento? E perché il nome “Biennale della Prossimità”? Ne parliamo con Sergio Revello, dell’associazione Co.Ser.Co. «Un appuntamento dedicato alle comunità locali, alle persone e alle loro esigenze, in ottica di “prossimità”. Durante la Biennale ci domanderemo come andare incontro ai bisogni sociali e proveremo a fare rete. Perché a mio avviso sulle tematiche del terzo settore non c’è la giusta attenzione da parte delle istituzioni. C’è stata prima una disaffezione culturale, poi una conseguente riduzione di fondi. Sono cambiate le priorità: non interessano i temi collettivi ma quelli privati».

«Avremmo potuto chiamarla Biennale dell’impegno civile, della cittadinanza attiva o dell’auto-organizzazione, ma cercavamo qualcosa di più immediato anche per i non addetti ai lavori, qualcosa che non andasse spiegato: tutti sanno cosa significa “prossimità”. Il senso è di valorizzare la cooperazione volontaria e la mutualità, senza delegittimare le istituzioni, che devono svolgere il loro lavoro nel terzo settore senza trascurarlo come spesso fanno».

L’idea è nata prendendo atto del fatto che «ci sono molte realtà del terzo settore che svolgono un ruolo di supplenza dello Stato, per quanto riguarda i diritti dei cittadini e i bisogni dei quartieri. Così abbiamo pensato di organizzare un momento di incontro tra soggetti come coop sociali, associazioni di volontariato e di promozione sociale. Oggi, infatti, queste realtà si accollano compiti più grandi delle loro reali possibilità: ci sono così poche iniziative nel terzo settore finanziate dalle amministrazioni locali che sono come una goccia nel mare. Il grosso del lavoro è fatto dalle associazioni, spesso senza finanziamenti e in autonomia totale. È anche difficile fare rete tra noi operatori perché siamo dislocati sul territorio e non disponiamo di grandi mezzi. Per questo, la Biennale dovrebbe servire ad avvicinarci e favorire lo scambio di idee, esperienze, progetti».

I tre giorni saranno articolati in 4 aree tematiche. «La prima, dedicata al lavoro, alle innovazioni e alle nuove modalità di organizzazione, dal coworking alle altre forme di aggregazione. Si parlerà anche di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e di tutto quello che ruota attorno a questo mondo. In secondo luogo, ci occuperemo di territorio: la visione urbana e il miglioramento della vivibilità dei quartieri. Contestualmente, si parlerà anche di diritto alla casa e risposta a bisogni concreti, con il coinvolgimento, tra le altre, delle associazioni genovesi legate alla situazione della ex Caserma Gavoglio e alla Val Bisagno».

Terzo tema, i consumi sostenibili: «oggigiorno è difficile consumare prodotti di qualità perché in molti non se lo possono permettere. Per questo promuoviamo la conoscenza di gruppi d’acquisto e ambulatori sociali d’acquisto a prezzi calmierati, che garantiscono un buon rapporto qualità/prezzo». Da ultimo, la Biennale si occuperà di bisogni sociali, tossicodipendenze, disagio mentale e inclusione. «Si tratta di problematiche per cui c’era più attenzione in passato, a partire dagli anni ’70; ora, invece, sembra ci siano altre priorità e meno risorse, e per questo passano più inosservate».
Dove si svolgerà la Biennale

Piazza Banchi«Per ogni tematica, una location: Loggia dei Banchi sarà dedicata al tema del lavoro; alla Maddalena si parlerà di territorio; ai Giardini Luzzati di consumi; infine, alla Commenda di Pré, Santa Brigida e Via del Campo di inclusione. Abbiamo voluto privilegiare spazi aperti, invece dei soliti luoghi per convention e dibattiti, per aprirci alla cittadinanza e cercare un approccio diverso da quello tradizionale. Ci sarà un momento più convenzionale venerdì, il primo giorno, con discorso inaugurale e presentazione delle associazioni; sabato e domenica, invece, ci saranno stand fieristici in giro per il centro. Daremo spazio a giochi, danze, performance in strada: ciascuno sarà libero di raccontare il proprio impegno sociale nel modo che gli è più congeniale, coinvolgendo i cittadini. Il nostro modello è quello del Festival della Scienza».

Un evento ancora più importante perché di rilevanza nazionale… «Sì. Le 70 associazioni partecipanti provengono da 15 regioni d’Italia. Molte sono genovesi (come Yeast, Ama, CoSerCo, Il Laboratorio, Comunità di San Benedetto ecc., n.d.r.) o di aree limitrofe perché hanno budget ridotti e poca disponibilità di spostamento. Siamo contenti di poter ospitare un evento di questa portata».

Come mai è stato scelto proprio il capoluogo ligure come sede? «Per due motivi: prima cosa, per la caratteristica urbanistica e sociale del centro storico, che tende a favorire l’inclusione identitaria, il recupero della dimensione comunitaria e nutrirsi della diversità, mantenendo caratteristiche non alienanti. Inoltre, c’è stata la richiesta di molti partner nazionali di ambientare l’evento a Genova perché è una realtà paradigmatica: a fianco di istituzioni autoreferenziali, trovano spazio tanto piccole iniziative volontarie, comitati di quartiere, associazioni no profit, ecc. Da Prà, al Lagaccio, a Molassana, passando per la Maddalena, non mancano iniziative spontanee e tentativi di fare rete per rispondere a bisogni contingenti. Genova in questo senso è molto più sviluppata di altre città italiane, in cui i bisogni sono gli stessi ma la capacità di aggregarsi è più arretrata. Ci sono qui realtà che si danno molto da fare: i Giardini Luzzati sono già consolidati, i Giardini di Plastica stanno emergendo, e ce ne sono moltissimi altri. Siamo una città effervescente e attiva».

La Biennale sarà interamente auto-finanziata e non godrà di sostegno economico da parte degli enti pubblici. «Non percepiamo soldi pubblici, è un evento volontario e auto-finanziato dalle stesse associazioni, che per partecipare versano una quota di 100 euro a testa. Essendo 70 in totale, abbiamo un budget di 7 mila euro: lavoriamo a costo zero, visto che di norma per un evento del genere si dispone di cifre di 100 mila euro. Gli allestimenti saranno spartani, la comunicazione esterna nulla (ad esclusione dei social, Radio Gazzarra e altre due radio del sud che trasmetteranno la diretta degli eventi)».

Elettra Antognetti

Fonte: genova.erasuperba.it