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Il punto di partenza è semplice: insieme ad una crescente enfasi positiva sull’attivazione della comunità e dei cittadini per affrontare problemi e aspirazioni comuni e condivise, si assiste ad una proliferazione normativa che, al fine di tutelare una molteplicità di istanza, tutte singolarmente apprezzabili – salute, sicurezza pubblica, lavoro, ecc.) pone vincoli di tale entità che divenga oggettivamente difficile per un cittadino agire per il bene comune senza violare una qualche legge.

Di questo si è detto a Bologna, nel workshop svoltosi il 23 ottobre presso Mercato Sonato, ex mercato coperto che grazie ad una esperienza di riqulificazione che ha visto come protagonista l’Orchestra Senzaspine ha dato vita ad una vera esperienza di prossimità sul territorio bolognese.

Le azioni di prossimità – preparare una cena, ospitare una persona, dipingere un muro – sono del tutto legali se fatte in famiglia o in un ambito amicale e informale; la prossimità – si svolge in uno spazio pubblico – la cena la si prepara in strada, o si dipinge il muro di un edificio degradato per restituirlo alla comunità -, ma ha natura sostanzialmente diversa dall’attività di impresa o di una Pubblica amministrazione; è un terreno grigio, che il nostro sistema giuridico stenta a comprendere, con il rischio che siano richiesti a chi chi pratica la prossimità obblighi e vingoli pari a quelli di organizzazioni formali. E questo significa uccidere la prossimità.

Gianfranco Marocchi

Nico Benetazzo (tra i promotori della Biennale 2017 a Bologna) e Sergio Bertocci (esperto di pubblica amministrazione), hanno dato il via alla riflessione a partire da alcuni fatti di cronaca. Tra i tanti esempi: diversi media avevano riportato in termini entusiastici (“piccolo miracolo calabro”) la vicenda di un gruppo di medici che hanno dato vita ad un centro di medicina solidale che ha prestato dal 2010 al 2017 cure completamente gratuite a trentamila persone (1 e 2); ma il 30 novembre 2017 il Centro è stato chiuso d’autorità per la mancanza di autorizzazione sanitaria e i protagonisti dell’esperienza sono stati ringraziati dalle istituzioni per il lavoro svolto con una multa di 20 mila euro. O, altro esempio, a partire dalla promulgazione del Decreto Minniti sono decine le manifestazioni di aggregazione che sono state annullate perché non sarebbe stato possibile realizzarle in condizioni di legalità, stanti gli obblighi connessi alla prevenzione di rischi di terrorismo.

In generale non si contano le iniziative basate sull’impegno informale e diffuso della società civile che rappresentano violazioni dell’una o dell’altra norma di legge e la stesse Cena di Strada organizzata nell’ambito della Biennale a ben vedere non sarebbe sfuggita da queste strettoie (vedi in questo articolo altri esempi, dal recupero di Beni pubblici a Napoli ai casi di accanimento verso chi accoglie migranti).

Insomma, a praticare la prossimità si rischia seriamente di violare un ampio insieme di disposizioni, pensate per contesti e organizzazioni sicuramente diverse da quelle che realizzano azioni di prossimità. Cosa fare, quindi?

Insieme a Luca Gori, costituzionalista della Scuola Sant’Anna di Pisa, si è provato a ragionare nella consapevolezza di come sia da una parte necessario misurarsi con l’ordinamento esistente, e dall’altra iniziare a tracciare un percorso di evoluzione che ci conduca, secondo le parole di Gori, ad un riconoscimento di un diritto alla prossimità e, come successiva conseguenza, di un diritto della prossimità.

La Biblioteca della prossimità

Accanto all’operatività, allo scambio e al confronto tra chi pratica la prossimità, la Biennale 2019 si propone di dare profondità e chiarezza al concetto di prossimità, esplorandone vari aspetti. Rimani aggiornato sui materiali via via prodotti consultando la Biblioteca della prossimità.

E’ possibile, quindi, fondare un “diritto alla prossimità”? Questa la domanda di partenza da cui si è sviluppato il ragionamento di Luca Gori. Esiste, in altri termini, un diritto dei cittadini, singoli ed associati, ad assumere iniziative volte a soddisfare bisogni delle comunità di riferimento ed avviare cambiamenti, all’interno di contesti locali, anche al di fuori delle forme giuridiche stabilite dal codice civile? Ancora prima che concentrarsi sulle semplificazioni necessarie della normativa (quello che potremmo chiamare il diritto della prossimità), dobbiamo interrogarci, secondo Gori, sul fatto che esista un diritto costituzionale alla prossimità.

Esista un diritto costituzionale alla prossimità, che si sviluppa  dall’art. 2 (riconoscimento delle formazioni sociali) all’art. 3 (principio di ragionevolezza e di uguaglianza sostanziale), dall’art. 18 (libertà di associazione) e all’art. 118 della Costituzione (principio di sussidiarietà orizzontale).A partire da ciò è possibile – contemperando tale diritto con altre istanze – sicurezza, salute, ecc. – immaginare un diritto della prossimità, un diritto cioé che offre i margini perché le istanze partecipative dei cittadini possano concretamente dispiegarsi.

Luca Gori

La risposta è affermativa, considerando il complesso degli articoli 2 (col suo riconoscimento delle formazioni sociali),3 (principio di ragionevolezza e di uguaglianza sostanziale), 18 (libertà di associazione) e 118  (principio di sussidiarietà orizzontale) della Costituzione. Sul piano concreto, ciò si traduce nell’esigenza di bilanciare il diritto alla prossimità dei singoli e delle comunità con la tutela di altri valori costituzionali (salute, sicurezza pubblica, lavoro): da tale bilanciamento, complesso ma estremamente affascinante, possono sorgere secondo Gori soluzioni normative innovative ispirate ai principi di sussidiarietà, proporzionalità, adeguatezza.