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Perché Taranto non è solo Ilva, contrasto politico, polemiche. Taranto è anche – oggi, dopo avere iniziato a conoscerla, diciamo che è soprattutto – una società civile vivace e attiva, piena di fermenti e di voglia di costruire, fatta di solidarietà e di protagonismo, in una parola di prossimità.

Perché Taranto è il simbolo tanto delle contraddizioni del sud Italia, quanto del suo possibile riscatto. Mostra le ferite di un modello di sviluppo che ha richiesto moltissime risorse, ma che non ha restituito i risultati sociali desiderati.

Perché Taranto è una bellissima città, dalla storia millenaria e dalle grandi possibilità. Quelle della grande Taranto oltre al ponte, con piazze, strade e palazzi magnifici. Quella al di qua del ponte, antica e affascinante, della quale, se si riesce a leggerne la bellezza oltre il degrado, si comprende il potenziale di sviluppo. Uno sviluppo fatto di attività diffuse, di economia che nasce dalla prossimità.

Perché Taranto è una città che si sta ripensando dalle sue fondamenta, che tra dieci o vent’anni sarà profondamente diversa da quella di oggi; e la prossimità può essere un elemento che fa la differenza.

Perché a Taranto abbiamo sin da subito trovato Terzo settore, cittadini e istituzioni pronti a fare sinergia e a lavorare insieme per costruire la Biennale della Prossimità.

Perché Taranto e tutta la Puglia sono un laboratorio di prossimità che ha molto da dire a tutto il Paese. Valgono sicuramente un viaggio, in qualsiasi luogo d’Italia si risieda.

Perché la prossimità è in tutto il Paese e ovunque ne rappresenta una delle parti migliori. Dopo Genova 2015 e Bologna 2017 era importante portare la Biennale della Prossimità nel Mezzogiorno, per conoscere e dare voce alle tante esperienze eccellenti che nelle prime due edizioni avevano fatto fatica a partecipare.